martedì 19 agosto 2014

Il Respiro più lungo - pt. 2

Alle 8 in punto Jakob si presentò alla villa di Delaney. La pioggia continuava incessante, ed ogni cosa era avvolta da una vistosa cappa di umidità.
In lontananza, oltre la baia, dei lampi accecanti illuminavano a giorno le acque scure del mare, agitato dal vento e dalle correnti furiose.
Venne ad aprirgli l'inquietante assistente di Delaney, che si ostinava a chiamare Maestro, senza specificare la ragione di questo appellativo ridondante.
Invitato ad entrare nella sala, si trovò in compagnia di altre cinque persone, a lui totalmente sconosciute, che ebbero la scortesia di non presentarsi nemmeno.
Seduti ad un tavolo riccamente imbandito, attesero pazientemente ed in silenzio, l'arrivo del padrone di casa.
Delaney non si fece aspettare. Fece il suo ingresso nella sala, vestito con una tunica nera, bordata d'oro.
Tutti gli astanti si alzarono dalla sedia e si affrettarono ad inchinarsi al suo cospetto, baciandogli la mano ingioiellata.
Tornando a sedersi al proprio posto, lanciarono occhiate ostili verso Jakob.
La cena si svolse normalmente, tra convenevoli e scambi di cordialità tra tutti gli astanti, che si rivelarono essere personalità di spicco di Castlewich e dintorni, proprietari terrieri, latifondisti, figli di magnati dell'industria ittica.
Delaney conversò amabilmente anche con Jakob, annunciando orgoglioso che di li a poco gli avrebbe mostrato qualcosa di inenarrabile.
Finita la cena, Delaney si alzò da tavola.
«Gentili signori, vi ringrazio per l'attesa paziente che avete mostrato. So bene che fremete dall'impazienza. Quindi non tardiamo ulteriormente, io stesso sono eccitato e non riesco a trattenere la mia gioia. Vi prego di seguirmi.»


Detto questo, si avviò fuori dalla stanza, seguito da tutti i commensali in religioso silenzio.
Superato un lungo corridoio, Delaney aprì una porta blindata e si fece strada lungo una ripida scalinata di pietra che, gradino dopo gradino, scendeva sempre più nelle viscere della terra.
Le pareti, umide e ricoperte di muffe, mano a mano che scendevano, iniziarono a grondare salmastro dalle fessure delle grosse pietre grezze.

Al termine della discesa infinita, e superato un ultimo stretto corridoio che puzzava di alghe secche e decomposte, entrarono in una grande e buia sala circolare, con il soffitto a volta.
Al centro della stanza spiccava un grosso pozzo, nero come l'occhio vitreo e feroce di uno squalo.
Delaney accese alcune fiaccole tutt'intorno, mentre gli altri si posizionavano in cerchio ai bordi del pozzo, poi si avvicinò ad un telo che copriva quello che risultò essere un carretto di legno cigolante.
Lentamente venne portato al bordo della cavità.
Delaney si voltò verso Jakob, che era rimasto titubante in disparte, incapace di decifrare esattamente cosa stesse accadendo.
«Signor Bloomfield, venga avanti, non abbia timore. Devo mostrarle una cosa.»
Jakob si avvicinò, tenendo d'occhio il carretto coperto dal telone bianco, che sembrava muoversi da solo.
«La morte di mio cognato è stata una casualità. Il suo cuore non ha retto, ed ha esalato il suo ultimo respiro dopo che ha visto ciò che le vado a mostrare. Non doveva accadere… ma al destino e alla curiosità non si può mettere freno.»
«Che cos’è tutto questo rituale? Siete membri di una setta, o cosa?»
«Abbia pazienza signor Bloomfield, una cosa per volta.»
Detto questo, fece scivolare per terra il drappo, rivelando una gabbia di ferro rugginoso su un carrello, al cui interno conteneva una figura aberrante.
Jakob sentì il cuore saltare un colpo, e si ritrovò a risucchiare aria come se fosse appena riemerso da un immersione in apnea.
Davanti a lui, l'abominio si muoveva pigramente, e allo stesso tempo, lentamente, nella mente di Jakob prendeva coscienza di ciò che i suoi occhi stavano osservando con così tanto terrore.
Nella gabbia, l'essere si mosse, voltandosi verso Jakob, mostrando il suo volto.
La sue pelle pallida, grinzosa, presentava diverse piaghe lungo tutto il corpo flaccido e viscido.
Aveva la forma di una foca, o qualcosa di molto simile, ma il suo volto era chiaramente umano e le pinne dorsali posteriori erano composte dall'unione dei piedi in un ammasso osceno di carne e dita allungate, unite da una membrana cartilaginea.
Il suo viso era sfigurato in un orrenda smorfia di dolore, e con occhi socchiusi, acquosi, lanciava dei lamenti strazianti.
«Che cos'è questa... questa mostruosità?»
«Signor Bloomfield, questa non è una mostruosità. Ma il frutto di anni e anni di studio biologico e medico. Quello che ha davanti è il primo Homo Phocidae. Colui che darà il via ad una stirpe di uomini anfibi che colonizzeranno il mondo assieme agli esseri delle profondità.»
«Esseri della profondità? Stirpe di uomini anfibi? Ma lei sta vaneggiando!» gridò Jakob, indicando l’essere orripilante.
Delaney scosse la testa.
«Se l'abbiamo portata qua, signor Bloomfield, è perché abbiamo intenzione di mostrarle qualcosa di inenarrabile e meraviglioso. L'inizio di un nuovo mondo. Non certo per sentire le sue sterili rimostranze.»
«Ma di cosa sta parlando?»
«Stiamo per evocare il dio degli abissi, il signore delle profondità. Non era quello che voleva? Gli portiamo in dono la mia creatura, il primo milite delle sue armate, con il quale potrà conquistare la terra invasa da i beceri e insulsi esseri umani.»
«Voi siete pazzi!» gridò Jakob.
Delaney rise sinistramente.
«Pazzi? La veda come le pare. Mi aspettavo più intelligenza da parte sua. Vorrà dire che chiederà pietà al dio degli abissi. Se sarà convincente forse la risparmierà.»
«Non rimarrò certo qui a osservare i vostri rituali pagani e turpi.» rispose Jakob  «la mia intenzione è di denunciarvi immediatamente. Quello che avete fatto è contrario a qualsiasi principio umano!»
Jakob si voltò, deciso ad uscire prima possibile da quell'antro oscuro e malefico, riuscendo finalmente a distogliere lo sguardo dall'abominevole creatura, ma si ritrovò davanti l'assistente di Delaney.
Tutto accadde velocemente, ma riuscì a cogliere con la coda dell'occhio una siringa piena di un liquido giallognolo diretta verso il suo collo.
Prima di perdere conoscenza, vide una cosa che gli tolse nuovamente il respiro.
L'uomo aveva le mani palmate.
Quando Jakob si ridestò, si ritrovò completamente avvolto dall'oscurità.
Le torce erano spente, il silenzio era rotto da un gocciolio costante che risuonava nell'antro con un eco innaturale e osceno.
Era seduto su una sedia, con la mani e le gambe legate con delle corde.
Niente si muoveva o si faceva sentire attorno a lui, così, notando che i nodi ai polsi si erano allentati, iniziò una lunga ed estenuante lotta con la corda, nel tentativo di liberarsi.
Ci riuscì dopo interminabili sforzi e dopo aver riavviato la circolazione alla mani martoriate da fitte terribili, iniziò a  sciogliere i nodi alle caviglie, tenendosi sempre all'erta, nella paura di veder riapparire qualcuno.
Così non avvenne.
Una volta libero e riacquistata la capacità di muoversi in maniera soddisfacente, la paura lasciò lentamente spazio alla curiosità.
Trovata una torcia, la accese e si guardò attorno.
Le pareti, il pavimento e perfino il soffitto, era cosparso di macchie e spruzzi di sangue.
Jakob trattenne a stento un conato di vomito, quando vide sul bordo del pozzo, un piede mozzato e sanguinolente, ancora infilato nella scarpa di pelle nera.
Ovunque c'erano gli inequivocabili segni di una furibonda lotta, di cui probabilmente, Delaney e i suoi compari non ne erano usciti vincitori.
Della mostruosa creatura generata dai folli e psicotici esperimenti di Delaney non c'era traccia.
Dai recessi del pozzo salì improvvisamente un fetore orrendo, un misto di odore di carne decomposta, pesce avariato e sangue, seguito da un tremore convulso del pavimento.
Jakob si avvicinò, combattendo strenuamente la voglia di fuggire a gambe levate.
Passo dopo passo, con la torcia tenuta ben in alto sopra la testa, tentando di rischiarare più possibile quell'antro spaventoso, arrivò sul bordo della cavità.
Con un ultimo sforzo di volontà, si sporse oltre l’orlo.
Il buio era totale, nero come la pece, e insondabile. Jakob si chinò, e allungò la torcia nel tentativo di vedere qualcosa.
Rimase così a lungo, quasi sdraiato, con la torcia che tentava di illuminare l'insondabile oscurità, quando d'un tratto il fetore acquitrinoso ritornò con una potente zaffata.
Jakob gridò, lasciando cadere la torcia.
Poi la paura ebbe il sopravvento e fuggì via disperatamente, correndo nel buio del lungo corridoio umido e su per le scale, inciampando ripetutamente, ma sempre senza voltarsi indietro, finché non uscì dalla villa, ormai deserta.
Di Delaney, del suo assistente e degli altri adepti della setta non si seppe più niente e la denuncia esposta da Jakob Bloomfield alla polizia locale, non portò altro che dubbi e misteri.
Jakob perse il posto al “Marchio del Mistero”, incapace di riprendersi e scrivere un articolo su ciò che aveva vissuto.
Gli ci vollero molte settimane prima di poter ripensare, a mente fredda, agli ultimi istanti in cui si era trovato in quella grotta spaventosa.
Ed ogni volta, rivedeva chiaro nella sua mente, come una fotografia indelebile, l’orrida creatura viscida, squamosa e tentacolata, con il suo volto umanoide e gli occhi rossi, che lo osservava dal fondo del pozzo assieme all’aberrante esperimento di Delaney.
Ogni volta la paura lo affogava in un vortice oscuro e solo con un respiro più lungo, riemergeva dal proprio terrore con l’amara consapevolezza che la sua vita era ormai distrutta per sempre, inquinata dall’ignoto orrore che aveva visto.




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