sabato 1 febbraio 2014

Grida nel vento


Febbraio, la Bestia Grigia. Così descriveva questo mese monco, Clive Barker nella "Casa delle Vacanze" .
Sono passati anni e anni da quando lo lessi, ma da allora per me questo mese è sempre rimasto un'enorme Bestia Immonda.
E gli dedico questo racconto breve che scrissi lo scorso anno per partecipare al FI-PI-LI Horror Festival.

Spesso non ci sono parole per spiegare ciò che ci accade nella vita, perché molte volte ciò che proviamo tocca il nostro lato inconscio, la nostra psiche più profonda e dei sentimenti ancestrali che probabilmente neanche noi riusciamo a percepire fino in fondo.
Resta il fatto che ciò che accadde quella mattina, in quella piccola località balneare in cui mi trovavo, mi sconvolse più di ogni altro fatto che mi sia capitato nella mia esistenza.
Trovandomi vicino alla costa, a causa di un workshop realizzato appositamente per i membri dell’azienda in cui lavoravo a quel tempo, durante una mattina in cui avevamo alcune ore libere, decisi di incamminarmi lungo la spiaggia per distrarmi un po’.
Ero solo e anche un po’ annoiato, per colpa del mostruoso tedio che causavano a me ed agli altri miei colleghi quelle noiose ore di riunione che l’azienda ci propinava tutte le mattine di quella settimana definita beffardamente di “rafforzamento team”.
Mi chiedevo chi fosse il genio che aveva deciso di realizzare il seminario durante l’inverno e per giunta in una località balneare, che come prevedibile, durante in quel periodo era pressoché deserta.
Così quella mattina ventosa, me ne andavo in giro sul lungomare con la testa incassata nelle spalle come una tartaruga.
Più camminavo e più il vento si alzava, mi turbinava nelle orecchie e tentava di strapparmi il cappuccio della giacca a vento che indossavo.
Ma, non so perché, continuavo a camminare senza pensieri ben definiti, con lo sguardo perso nel vuoto, come se una mano invisibile mi trascinasse da qualche parte.
Senza accorgermene mi ritrovai su di una banchina di cemento, contro il quale gli spruzzi di un mare sempre più furioso sbattevano senza tregua, in una lotta infinita e logorante.
Mi incamminai incurante degli spruzzi di acqua salata che mi arrivavano sul volto, anche perché nonostante il vento, non sentivo freddo.
Arrivai fin sull'orlo della banchina e mi misi a guardare l’orizzonte, dove creste illimitate di schiuma su onde, cavalcavano il mare sconvolto dal vento che non smetteva di crescere di intensità.
E allora lì, sul bordo della banchina, mentre il mio sguardo vagava nelle acque in tempesta, ebbi come la sensazione di essere osservato da dozzine di occhi.



Mi sentii percorrere un brivido lungo la schiena come mai mi era capitato e come colto da un sesto senso, penetrante e improvviso guardai nel mare con più attenzione e trasalii.
Per un attimo, un istante che mi parve un eternità angosciante, riuscii a vedere attraverso l’acqua come fosse di vetro e notai sul fondo, tra scogli e alghe, una folla di bambini che guardavano verso me.
Mi salì un groppo in gola che mi impedì di urlare per lo spavento, e strinsi forte gli occhi, in preda ad una paura profonda e atavica. Il terrore si impadronì del mio corpo.
Riaprii gli occhi e non vidi più niente, se non onde furiose che si infrangevano sugli scogli con una violenza inconcepibile.
Sentii freddo, alle mani, e poi nelle braccia e al corpo. Il vento divenne come una lama gelida e devastante che mi spingeva indietro riuscendo quasi a farmi cadere.
Barcollai, feci un passo indietro e allungai la mano fino a aggrapparmi la spalletta che correva lungo il molo.
Il vento mi fischiava nelle orecchie senza tregua, come se fossi entrato in una galleria dove la corrente acquistava folle velocità.
Ebbi un folle timore di essere spazzato via come un alberello spoglio, e mi chinai rannicchiandomi contro il muretto di pietra e cemento armato.
Sembrava che il vento volesse soffocarmi, spezzandomi il respiro, togliendomi l’ossigeno dai polmoni, strappandomelo via prima ancora che potessi inspirare una sola boccata d’aria.
Mentre lottavo disperatamente per riprendere il controllo dei miei sensi sopraffatti dalla paura e dall’angoscia per quella situazione inspiegabile, mi accorsi che nell’aria si stava espandendo un suono.
Dapprima incerto e tenue, il suono si fece via via sempre più forte ed incalzante.
Non sembrava provenire da un punto preciso, ma da una moltitudine di direzioni.
Da sopra, sotto, quasi sembrava che uscisse involontariamente dal mio corpo per quanto potente era diventato, e solo lentamente riuscii a capire a cosa somigliava.
Erano grida simultanee e folli di panico, di sgomento. Erano grida di bambini.
Dozzine di bambini, centinaia,  forse migliaia, che gridavano, quasi ululavano nel vento, così cariche di negatività, così  profonde e potenti che mi straziavano le orecchie con la loro forza, e mi tormentavano il cuore e l’anima con la loro disperazione.
Senza accorgermene iniziai a piangere, gridando anche io, perché il dolore che esprimevano con quei lamenti monocorde, prolungati e assillanti mi fecero cadere in un baratro di sconforto.
Solo con uno sforzo immane riuscii a rimettermi in piedi e contrastando il vento e l’impulso di abbandonarmi alle correnti che mi avrebbe ghermito e trascinato in acqua, raggiunsi la riva e mi allontanai correndo senza meta.
Tornato non so come in albergo, alcuni miei colleghi, vedendomi completamente sopraffatto dalla tensione, scarmigliato e con i vestiti strappati, mi corsero incontro chiedendomi se stessi bene.
Non ricordo cosa risposi; so solo che piombai in camera, feci la valigia e me ne tornai a casa, lasciando loro l’incombenza dello stupido ed inutile workshop.
Per diversi giorni, rimasi in uno stato simile alla catalessi. Avevo solo voglia di dormire e tremiti incontrollati mi scuotevano il corpo.
Solo qualche anno dopo venni a sapere una cosa che, se possibile, aumentò in me l’angoscia per il ricordo, di ciò che mi era accaduto.
In quello stesso luogo, oltre cinquanta anni prima, uno scuolabus di ritorno in paese, era finito in mare. A bordo c’erano solo bambini.
Nessuno si salvò.
Da quel giorno, ogni volta che l’urlo del vento si alza, seppur viva a centinaia di chilometri di distanza da quel molo maledetto, il terrore si impadronisce di me, perché tutto l’immenso dolore, la sofferenza, che provarono quei bambini prima di finire tra le braccia della morte, adesso è racchiuso nella mia anima.


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