venerdì 6 dicembre 2013

L'ombra nell'abside

Durante l'estate di qualche anno fa, visitai una chiesetta sperduta in un piccolo paese della campagna toscana.
Sembrava abbandonata, ma quando vi entrai rimasi colpito dai suoi bellissimi affreschi.
Poi nel buio dell'abside abbandonato all'oblio, una rondine svolazzò sfiorandomi i capelli ed un formicolio mi scivolò lungo la schiena...


Nella calda, afosa, estate di sei anni fa, ero in giro per la toscana come giornalista free lance, per un servizio che mi aveva proposto una rivista di cultura e viaggi.
L’idea, neanche poi tanto innovativa, era quella di fare una sorta di viaggio tra alcuni dei più famosi paesi abbandonati dell’Appennino toscano.
Con la mia povera Kia affrontavo salite infinite per raggiungere posti sperduti e dimenticati dall’umanità alle prese con la vita moderna e frenetica.
Un pomeriggio di agosto, con mia grande sorpresa, raggiunsi un piccolissimo borgo tardo medievale  che non era neanche indicato nelle cartine geografiche più datate che avevo portato con me.
Lasciai la macchina al limitare del paese e mi avventurai tra le strade silenziose e dissestate.
Il borgo era ovviamente deserto, e a dirla tutta neanche troppo interessante, nel suo comune stato di abbandono che avevo già visto e fotografato dozzine di volte in quell’estate.
Tuttavia, poco prima di girare i tacchi e tornarmene in macchina, qualcosa attirò la mia attenzione.
Alla fine di un vicolo accidentato e semisommerso da massi e travi di legno, notai affacciarsi su una piccola piazzetta ottagonale, una chiesetta dalla tipica struttura paleocristiana, che aveva l’aria di essere stata ristrutturata poco prima che il paese venisse definitivamente abbandonato.
Con un certo, rinnovato interesse, mi ci diressi prontamente.
Quando la ebbi di fronte, rimasi stupefatto dalla bellezza di quel piccolo capolavoro architettonico.
Non potei fare a meno di pensare come fosse possibile che una tale opera potesse essere lasciata alla distruzione meticolosa del tempo.
Entrai, ed ebbi un'altra sorpresa, ma di tutt’altro genere.
La chiesa era illuminata debolmente da un ordinata file di candelabri a sei braccia infissi ad una serie di colonne di marmo grezzo che raggiungevano l’altare.
Dopo un attimo di meraviglia pensai che, evidentemente, a causa della sua straordinaria bellezza, la chiesa doveva essere ancora frequentata dal parroco di qualche paese limitrofo.
Mi incamminai verso l’altare, scivolando sul pavimento di granito tirato a lucido, sul quale le luci tremolanti delle candele si riflettevano con straordinaria vivacità.
Le pareti erano adornate da strani quadri, dove erano rappresentate figure sacre a me ignote.
Una particolare mi incuriosì, perché raffigurava una folla di persone, vestite di stracci, poco più che mendicanti, che avevano lo sguardo rivolto verso il cielo.
Ma non erano in attesa di qualcosa di positivo, di una beata luce angelica che sovente si vede nei classici dipinti cattolici, ma piuttosto da un blasfemo nembo denso e scuro, che vorticava sulle loro testa e dal quale partivano lampi e folgori che si tramutavano in demoni alati, cornuti e con tutti gli altri dogmi tipici degli abitatori degli inferi.
Questa strana rappresentazione, che mi appariva capovolta rispetto ai normali canoni cristiani, mi incuriosì talmente tanto che scattai diverse dozzine di foto.
D’un tratto però un rumore proveniente da dietro l’altare mi fece trasalire.
Avevo sentito come un rumore di passi svelti, seguiti da un fruscio, e qualcosa di simile ad un mormorio.
Mi diressi in quella direzione e vidi una luce fioca che spariva lungo una scala ripida che portava al sottosuolo.
Vidi di sfuggita la figura di un abate incappucciato che teneva alta una lanterna ad olio sopra la testa.
Chiesi ad alta voce se ci fosse qualcuno, ma non ebbi risposta, così decisi di seguire la fioca luce della lanterna che si era inabissata.
Le scale erano ripide, rese scivolose dall’umidità, le pareti trasudavano acqua.
Seguii la luce che mi precedeva di qualche metro, ma non riuscivo mai a vedere chi fosse colui che si inoltrava in quei cunicoli.
Ricordo che gli gridai di aspettare, e allungai il passo ma ogni volta che voltava un angolo di quello che aveva tutto l’aspetto di un labirinto, il misterioso abate mi sfuggiva sempre.
Alla fine, improvvisamente me lo ritrovai davanti.
Era chinato di fronte ad un piccolo altare scolpito nella roccia, dove vi era raffigurata la madonna nell’atto di schiacciare una serpe.
L’immagine era vivida, perfetta, sembrava quasi una foto per quanto la scultura aveva rappresentato la scena, come pietrificandola in quell’istante preciso.
L’abate era chinato, intento in una preghiera che mi pareva in latino e io decisi che era l’occasione giusta per fare un'altra bella serie di foto.
Ma non appena feci scattare il primo flash, l’abate si animò improvvisamente, e voltandosi iniziò a gridare.



Mi venne incontro, con la faccia stravolta, il volto emaciato, gli occhi iniettati di sangue, e una orribile cicatrice lungo il collo.
Gridava in latino, spingendomi, e costringendomi a fare una precipitosa ritirata lunga il tunnel.
Quando sbucai di nuovo nella chiesa rimasi sconvolto.
La chiesa era gremita di persone.
Donne, bambini, uomini, vestiti come contadini dei tempi andati, tutti pallidi, emaciati, malnutriti e su cui gravava un olezzo indescrivibile.
Stavano lì, in piedi tra le panche, immobili e silenziosi, come in trance, e mi diedero la netta impressione che non mi vedessero, ma che fossero letteralmente sopraffatti da una  liturgia invisibile che stava avendo luogo.
Fu lì che mi voltai e vidi qualcosa che tutt’oggi non riesco ancora a comprendere.
Potessi tornare indietro a quel giorno, non entrerei mai in quella chiesa di quel paese dimenticato e che fortunatamente non so neanche come rintracciare.
So solo che dopo aver visto quella folla di moribondi, quella moltitudine di miserevoli esseri umani che avevano gli occhi spenti e la pelle tirata e cerea, alzai  lo sguardo verso la cupola dell’abside e vidi una immane e orrida ombra, grottesca nella sua forma mutevole, come fumo denso e malefico che formava impercettibilmente delle figure che ricordavano tanto demoni cornuti.
Scappai, facendomi strada tra le persone che sapevano di decomposizione e morte.
L’ultimo brivido lo ebbi quando con la coda dell’occhio vidi il quadro che tanto avevo fotografato poco prima: era un immane tela bianca.
Delle foto che scattai niente si salvò.

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