domenica 24 novembre 2013

KK82

Questa volta, lascio da parte per un attimo l'oscurità della paura, per veleggiare in una luce accecante, con questo brevissimo racconto dal sapore di fantascienza, con un finale un po' fuori dai miei canoni... fin troppo "romantico".


La luce della luna di Sethlans quella mattina era più forte del normale e si rifletteva sugli specchi della navetta con forza, come se li volesse perforare.

Il capitano, un tipo tranquillo, placido, persona di buon senso e saggezza racchiusa in un corpo ancora atletico nonostante l’età, con il volto sempre ricoperto da una barbetta coltivata con cura, stava ispezionando la sala comando.
Niente era in ordine e anche per quel giorno pareva fosse impossibile ripartire.
- Capitano, le condizioni del quinto motore sono ancora disastrose. Quel maledetto meteorite è andato più a fondo del previsto. Cosa dobbiamo fare?
- Cercate di fare più in fretta possibile, ma fate attenzione mi raccomando. Non possiamo permetterci altri errori.
L’ufficiale salutò rigidamente con la mano distesa sul petto e si scivolò via silenzioso, diretto verso la sala macchine.
Qualcosa non andava in quello strano pianeta in cui erano atterrati solo pochi giorni prima.
Atterrati era un eufemismo. Ad essere più precisi, togliendo ogni tipo di romanticheria, si erano schiantati su una vasta distesa di crateri fumanti, distruggendo in parte lo scafo della navetta e frantumando in mille pezzi l’ala destra che già era malconcia.
Quella pioggia di meteoriti così fulminea li aveva colti impreparati e a peggiorare la situazione c’era stato quel collasso dei circuiti elettrici che aveva compromesso ogni possibilità di manovra.
Due problemi al prezzo di uno, un offerta imperdibile per chi ama il rischio.
Probabilmente il pianeta che stavano sorvolando aveva un fortissimo campo magnetico che aveva mandato in panne tutta la sala comando, ma non si spiegava come mai in quel momento, dalle rilevazioni fatte sul terreno non risultasse niente del genere.
KK82 era un piccolo pianeta sferico di nessuna importanza, un piccolo palloncino che galleggiava nell’universo, scartato dalla rotte commerciali e militari, considerato meno di zero.
Ma in quel momento, Harold J.Stevens, Capitano della navetta mercantile  “Alleluia” sentiva che quell’arido globo butterato, portava con se nei suoi viaggi intorno al sole un qualche recondito segreto. E lui non voleva niente a che farne.
Dai crateri vicini alla navetta, fuoriuscivano dei getti di vapore caldo e denso come cotone che si libravano nell’aria rarefatta e salivano in cielo fin verso la luna che in quel particolare periodo dell’anno contrastava con veemenza la luce gialla e calda del sole.
D’altronde erano vicinissimi al satellite bianco che brillava nel cielo come un grosso diamante grezzo, ma prezioso.


D’un tratto i pannelli della consolle di comando si accesero all’unisono lanciando veloci luci intermittenti rosse e un segnale di emergenza che risuonò ben presto per tutta la navetta.
Harold schiacciò il pulsante dell’interfono e chiamò urgentemente qualcuno ad informarlo.
In men che non si dica sulla soglia comparve il Capo Macchine sporco di olio e grasso, con una vistosa fasciatura alla mano destra. Un ricordino dell’esplosione del giorno prima.
- Capitano, abbiamo riattivato i moduli 4 e 5, ma c’è stato un cortocircuito su tutti i settori di riavvio motori. 
- Come è possibile? Li avete riparati ieri! – sibilò il Capitano sull’orlo di una crisi di nervi.
Le riparazioni sembravano non dover finire mai, erano lotta energica e stupida come quella di un gatto con la sua coda sempre troppo lontana.
- Si, certo ma non riusciamo a tenerli attivi al momento dell’accensione dei pannelli.
Harold lo guardò in silenzio, il volto gelato da mille pensieri.
- Lavorateci ancora, una soluzione deve esserci! 
E anche il Capo Macchine lo lasciò solo a rimuginare, ricamando i suoi pensieri già arzigogolati con nuove imprevedibili considerazioni.
Nessuna di queste però era ottimista.
Un peso invisibile gravava nella sua mente, lasciandogli un solco profondo, una cicatrice di dolore provocata dal troppo pensare. Il mal di testa, uno di quelli pesanti, era in arrivo.
Sospirando si lasciò cadere sulla poltrona reclinabile che fino a tre giorni prima era stato il suo posto di comando.
Chiuse gli occhi, cercando di non far caso al fastidioso pulsare alle tempie e alla cervicale che lentamente si stava dipanando per tutta la testa, come l’eco di un tamburo dentro una caverna.
Ripercorse con la mente tutti i momenti precedenti alla caduta su KK82.
C’era una luca, un luce forte, bianca lattiginosa che veniva dal basso, lo ricordava con precisione.
La navicella ne era stata avvolta, mentre le meteoriti la tormentavano da tutti i lati, sfondando i motori e facendone esplodere ben due, prima di farla crollare a terra.
Prima dell’impatto al suolo aveva dovuto stringere gli occhi, quasi chiuderli per evitare di rimanervi accecato.
Non se l’era sognato, no signore.
Eppure non c’erano fonti di luce su quello schifosissimo pianeta. 
D’un tratto un boato spaventoso ruppe il silenzio.
La navetta tremò, sbattuta in tutte le direzioni da un tremendo violentissimo terremoto.
Harold barcollando si alzò in piedi, scivolando da una parte all’altra come un ubriaco della peggior specie.
Uscì dalla sala comando, continuando a cadere e rialzarsi mentre fuori il boato continuava a riempire l’aria con il suo frastuono viscerale.
Sulla scaletta d’emergenza incontrò l’Ufficiale in seconda che lo guardò intontito dalla paura, una maschera di terrore pallida e senza fiato.
- Immediata evacuazione della navetta! – gridò il Capitano cercando di farsi sentire in quel frastuono assordante.
In piedi, sballottato come una piuma nel vento, rimase in cima alla scaletta aspettando che tutto l’equipaggio scendesse per mettersi in salvo.

Fece appena in tempo a scendere e mettere il piede sulla terra friabile e secca che uno dei motori, uno di quelli che i meccanici stavano riparando, si staccò dalla navetta e schiantandosi al suolo esplose lanciando fiamme in ogni direzione.
Il calore e il fuoco bruciarono la pelle del viso del Capitano, che scioccato da ciò che stava accadendo era rimasto a guardare senza cercarsi un riparo.
Ma il dolore non fu niente.
Il boato del terremoto da assordante si fece crepitante, sferzante come il vento nelle orecchie.
Delle fenditure si aprirono nel terreno, dapprima piccole come minuscole rughe poi via via sempre più grandi, fino a che il Capitano e l’equipaggio furono costretti a correre via in cerca di riparo.
La navetta, sballottata dal terremoto, fu inghiottita da un enorme cratere, sparendo alla vista in un lampo, come se non fosse mai esistita, circondata da un cumulo di polveri e vapori che provenivano dal sottosuolo.
Harold non riusciva più a connettere con razionalità, stava succedendo tutto così velocemente e senza senso. Era seduto per terra, con gli occhi che lacrimavano per la paura e la polvere che vi bruciava dentro.
Un'altra enorme fenditura nel terreno si stava aprendo fin troppo vicino e il Capitano e il suo equipaggio furono costretti a fuggire ancora scappando in cima ad una piccola collinetta rocciosa.
Da lì videro uno spettacolo inaudito. Il pianeta si stava dividendo in due, aprendosi come un arancia sbattuta per terra, strappandosi in due divelta da forza invisibili e mostruose.
Da sotto il terreno una luce incandescente brillava, emanava calore ed energia e si liberava nel buio profondo dello spazio. Era la stessa luce che il Capitano aveva visto durante la collisione, ma adesso era certo di non aver avuto un allucinazione.
Quel pianeta era vivo, si muoveva, cresceva, respirava perfino e sotto la pelle ruvida e terrosa che lo racchiudeva il suo cuore pulsante cercava un modo per esplodere definitivamente liberando tutto il suo potere.
Ormai tutto intorno a loro il piccolo corpo celeste si era trasformato in un fuoco che stava per splendere per l’eternità.
L’ultima cosa che Harold vide prima di sparire assieme ad i suoi uomini fu quella luce che quasi la si poteva toccare e respirare.
- Le stelle.. le stelle sono belle anche da vicino – pensò, mentre ormai non riusciva più a vedere neanche le sue mani e una lacrima di commozione gli solcava il volto sporco di terra.



FINE




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